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LETARE A DON BERTOLDI,CHE SI È COPÂT ÎR AI 27 DI MARÇ DAL 2006

27 di Març 2006
Don Corrado,

non è mio costume nè mia competenza esprimere giudizi sulle attività espressive del prossimo. Ritengo che ognuno abbia diritto di esprimere le proprie idee in assoluta libertà. Il lettore ha la possibilità di accettarle, rigettarle, confrontarsi con esse per trarne giovamento o liberarsene al più presto per evitare ogni forma di nocumento. Ritengo altresì condizione pregiudiziale di ogni opera la chiarezza del pensiero e la correttezza della forma. Tutte qualità che ho riscontrato nel Suo libro: “Verità eretiche di un prete”. Quindi lo ritengo un libro positivo. Se non altro per il coraggio, al limite dell’incoscienza o dell’impudenza, di esprimere con tanta crudezza dei giudizi pesanti, ed inusuali anche nel mondo dei cosiddetti “lontani”, su “Dio, Bibbia, Chiesa, Storia”. Le fa onore anche un’altra circostanza. Di solito certi libri di contestazione radicale vengono pubblicati con pseudonimi o ricorrendo all’anonimato. Lei, in sintonia con il Suo temperamento che non rifugge dal confronto e dallo scontro, ha voluto firmarsi, ben sapendo che tale gesto non Le avrebbe aumentato il numero degli osannanti, ma avrebbe ulteriormente ridotto il numero dei simpatizzanti. Ma questa non sembra la Sua preoccupazione primaria.

Ho letto il libro in poco tempo, concentrandomi con più attenzione su certe parti e scorrendo con più celerità altre, soprattutto quando, come nel caso della Bibbia e della storia della Chiesa, l’impianto accusatorio e demolitorio era ben chiaro. Non escludo la possibilità di rileggerlo con più calma, anche per poter afferrare meglio il Suo pensiero. Trattandosi di un’opera composita, nel senso di essere formata da più sezioni abbastanza diversificate nel contenuto e nel tempo, e di un susseguirsi continuo di osservazioni e precisazioni all’interno delle singole sezioni, non è facile e non credo nemmeno possibile darne un giudizio globale. Bisognerebbe avere la Sua preparazione culturale, la Sua documentazione bibliografica e la Sua esperienza personale diretta e protratta per una lunga e travagliata esistenza. Inoltre bisognerebbe rispondere argomento per argomento, inciso per inciso, riga per riga. Un’impresa insensata ed inutile. Mi accontenterò di farLe presenti, per iscritto come da Lei richiesto, alcune considerazioni, osservazioni, confidenze che mi suscita la lettura del Suo libro, senza nessun intento accusatorio od assolutorio e senza nessuna pretesa di completezza, ma come un fratello o, se preferisce anche per ragioni anagrafiche (mia mamma era dal 1912), come un figlio al proprio padre. In carità e libertà.

La parte “teologica”, che occupa uno spazio notevole nel libro e che avrebbe dovuto interessarmi maggiormente per ragioni professionali o di bottega, mi ha incuriosito parecchio per l’arditezza ed inusualità delle tesi ivi esposte con dovizia di particolari e con una lista infinita di citazioni una più dotta e puntuale dell’altra, ma non mi ha emozionato. Non mi sento di darLe torto nè ho argomentazioni per ribattere punto su punto. E’ tutta l’impostazione che mi ha lasciato perplesso. Lei parte dal principio che Dio è mistero e tutto quello che diciamo con i nostri poveri ragionamenti, con i pronunciamenti magisteriali e con la stessa Bibbia è assurdo, insostenibile, illogico, sballato. E fin qui posso anche convenire. Ma noto in Lei un accanimento razionalistico martellante per dimostrare la Sua tesi e mi accorgo che, alla fine della Sua demolizione, ci troviamo felici e contenti su un mucchio di rovine. Può darsi che per Lei, usato o condannato a sfide insostenibili da superuomo, tutto questo Le dia un brivido di esaltazione, come chi finalmente ha trovato la chiave del mistero. A me tutto questo fa paura e pietà, perchè la chiave non apre nessuna porta, essendo caduta non solo la porta ma anche la parete e la casa. Scorrendo le Sue implacabili argomentazioni mi prende un senso di freddo, come quando tramonta il sole o la vita esce da un corpo goccia a goccia.

Non è questo il Dio che m’interessa, davanti al quale presentarmi in tutta la mia nudità e chiedergli umilmente di essere coperto e riscaldato dalla sua misericordia. Il Dio dei filosofi, dei nichilisti, degli intellettuali, dei libri, non m’interessa affatto. Non lo cerco e non lo voglio. Perchè è morto. Perchè è un idolo partorito dalla mia intelligenza o logica, all’altezza della mia comprensione e dunque non più grande di me.

Dal momento che ognuno è inesorabilmente autobiografico, la mia vicenda umana è stata ed è totalmente diversa dalla Sua e non solo per questioni di date. Lei è un uomo forte, che non teme assolutamente alcuna sfida, sia essa una prigionia lunghissima e dolorosa in territorio russo, sia una battaglia ideologica contro gran parte della Sua comunità infetta da preconcetti o illusioni di matrice sinistroide, per Lei ovviamente “l’eresia di tutte le eresie”, come avrebbe detto del modernismo l’ignorante ed intollerante Pio X, autore o connivente di un gulag teologico che ha paralizzato gran parte del secolo appena trascorso. Anch’io mi sono trovato, senza volerlo, a lottare contro lo strapotere e l’incomprensione vescovile, come Lei. La differenza è che io sudavo freddo ad ogni lettera o telefonata che mi arrivava dalla curia e passavo notti insonni e giorni di agonia, perchè mi sentivo impari alla lotta. Dalle Sue lettere questa paura non traspare. Può darsi che la mia impressione sia errata, ma mi sembra quasi di scorgervi un senso di vittoria, di soddisfazione, anche se amara. Oppure le prove immani cui la vita L’ha assoggettato hanno avuto su di Lei l’effetto che il gelo invernale (o infernale) ha sugli alberi. Per resistere devono perdere ogni fiore e foglia e tenero germoglio e dotarsi di una scorza impenetrabile. In questo caso, il lettore è preso da un senso di sincera ammirazione, ma che raramente si trasforma in affettuosa partecipazione, in calore umano. Essere ammirati può essere stimolante; essere amati è più consolante. Sono un romantico inguaribile, un modernista incorreggibile. All’albero maestoso che sfida i flagelli del vento preferisco l’umile viola che cerca di rannicchiarsi ancor di più, per sopravvivere. Al Dio glaciale e matematico o metafisico degli studiosi e dei dubbiosi e dei fanatici dell’assoluto, preferisco il Dio un po’ kitsch, banalotto, rassicurante, insostenibile, illogico della povera gente. Lei, per parlarmi di Dio, mi porta una valigia di libri e di citazioni e di prove o controprove. Io preferisco andare a cercarlo nelle contraddizioni, nella semplicità, nell’umanità dei miei fedeli così infedeli ed impresentabili. Se devo farmi un’idea di Dio (di più non è permesso nè lecito), non vado in biblioteca, ma mi rivolgo con umile confidenza alla vecchietta che confonde la Trinità con chissà quale astruseria ma che riesce ad affrontare con serenità la fatica del vivere. Dio non lo si dimostra, ma semplicemente si mostra.

Tra le note della Sua interessante e per certi versi unica esperienza, vedo che Lei ha conosciuto persone di altissima levatura almeno gerarchica e frequentato un’infinità di luoghi. Mi riferisco al futuro Paolo VI, al card. Donato Sbarretti, a Tardini, a Casaroli, al chiacchierato Baggio, notoriamente ultraconservatore e nemico implacabile (naturalmente in buona fede. Quanta buona fede e quanta poca fede!) della teologia della liberazione e persecutore di un martire del calibro di mons. Romero . Ha frequentato la Roma dell’algido Pacelli segretario di Stato e di Pio XI, il papa dei concordati più disastrosi del secolo. Ha conosciuto, purtroppo, la Russia con tutte le atrocità staliniane e con le sofferenze di quel popolo grande e sfortunato, la povertà e corruzione di Cuba, gli intrecci ed intrallazzi politico-caritativi della Pontificia Opera di Assistenza, la cura pastorale, l’insegnamento scolastico, gli splendori della Parigi vacanziera, il mondo piccolo borghese e piccolo cattolico del Veneto.

Benchè vissuto in tempi di maggior mobilità e possibilità economiche, il mio curriculum è vergognosamente ridotto e provinciale e si esaurisce all’interno della mia diocesi, in minuscole comunità ai margini di una regione già marginale. Ho trascorso 14 anni in Carnia, a mille metri di altezza, e gli ultimi 21 a Basagliapenta, un paese che le automobili attraversano accelerando. Ho fatto solo due puntate esterne o estere. Una settimana in Palestina, nel 1995, e l’anno seguente, un salto a Santiago de Compostela. A Roma non ho mai messo piede e non conosco alcuna personalità. Un‘esistenza banale ed insignificante che mi ha permesso una discreta navigazione o, se preferisce, un decente cabotaggio, compatibilmente con la mia salute precaria e le mie paure ricorrenti ed incombenti. Eppure mi sento sereno e realizzato perchè ho potuto attendere ad una comunità, aiutare della povera gente a vivere e a sperare ed essere aiutato da loro. Ho avuto la fortuna di poter leggere e scrivere, ma anche qui tutto a livello artigianale, paesano, in una lingua che pochi parlano ed ancora meno leggono, ma che mi ha permesso di dire cose grandi e profonde. Con simili trascorsi, non sono ammirato nè invidiato da alcuno. In compenso credo, o mi illudo, di godere dell’affetto sincero dei miei parrocchiani e di alcuni amici. Non Le racconto questo per esaltare un’esistenza rispetto all’altra ma solo per farLe capire che, con strade così diverse, non possiamo avere la stessa concezione della vita e nemmeno gli stessi gusti in fatto di religione, pur appartendendo entrambi alla stessa ditta, come direbbe il grande don Milani. Avrà certamente intuito che alla Chiesa dei Pii, dei Merry del Val e degli Ottaviani, condannati a far la parte del drago che custodisce un tesoro sotterraneo, un museo delle cere, un mausoleo o una biblioteca morta di verità morte, preferisco la temerità e l’incoscienza di un papa Giovanni che, ad un’età normalmente collegata all’arteriosclerosi ed alla demenza senile, si permette di scendere in mare e, con mano tremolante, spingere la barca o la baracca apostolica in alto mare, con il rischio reale di venire sommersa ad ogni istante, vuoi per la veemenza dei flutti vuoi per l’inadeguatezza del nocchiero. Ci avrà fatto girare un po’ la testa e sommuovere i visceri, ma almeno abbiamo potuto vedere finalmente qualcosa di nuovo…

Considero una grazia straordinaria, forse la più grande che ho avuto nella mia vita, la possibilità non solo di passare giorni e mesi sulla Bibbia ma di poterla tradurre in friulano. Se, in qualche modo, ho fatto un regalo al mio popolo offrendo una sorgente inesauribile di vita e di sapienza ed una guida luminosa per la verità tutta intera (anche se per Lei tutto questo può sembrare un’autentica castronaggine), il vero regalo è stato fatto a me. Mi è stato aperto questo scrigno accecante di perle e mi è stato permesso di bere a questo fiume che ristora l’anima fin nei suoi angoli più remoti e riarsi.

Naturalmente, anche se non con la Sua preparazione culturale e la Sua notevole erudizione, mi sono reso conto che tante cose non quadravano, che la logica (torniamo a questa stramaledetta categoria) non era la sua peculiarità principale, che c’erano un’infinità di contraddizioni e di incoerenze riguardo alle date, ai racconti, alle successioni cronologiche, alle scoperte archeologiche o alle scienze comparate. E chi se ne frega? O, meglio, non è questo che vado a cercare con ossessione nella Bibbia. Posso farlo più avanti, con libertà e senza il gusto sadico o sadomasochistico di aver fatto finalmente cadere l’impalcatura.

Mi sono accostato alla Bibbia cercando quello che la Bibbia poteva darmi e di cui avevo bisogno: un nutrimento sostanzioso dello spirito, un orientamento nella notte dell’esistenza personale e collettiva degli uomini, un barlume di quella luce inaccessibile che chiamiamo Dio. Mi sono accostato al Libro santo con l’avidità e la voracità del bambino che si attacca al seno della madre e ne succhia ingordamemente il latte fino a quando gli cola dalle labbra fin sul mento impataccandosi senza pudore. Passût e imbeverât. Certo che se quel marmocchio insolente e saccente, prima di accostarsi alle floride mammelle della sua nutrice, avesse preteso tutti gli esami batteriologici e chimici e profilattici del latte e della madre, per vedere se il latte era giusto, se conteneva tutte le sostanze necessarie e nella giusta dose, se lei era di sana e robusta costituzione e non c’era alcuna malattia incubante, beh! quel disgraziato sarebbe morto di fame. O comunque non avrebbe meritato un dono così vitale e gratuito.

Lei si accosta alla Bibbia per nutrirsi o per fare analisi? Vuol crescere in sapienza ed in umiltà ed in umanità o vuol semplicemente diventare un ottimo anatomista, anche se scettico? Quando ha scoperto che l’uomo habilis non combina con la storiella di Adamo e che l’esercito imponente del faraone non poteva essere sconfitto da una banda impotente di schiavi fuggiaschi, che beneficio spirituale ne ha tratto? Personalmente invece mi consolo e mi commuovo pensando che la nostra polvere è divina e che Dio si batte sempre per il debole contro il prepotente e per la libertà contro ogni forma di tirannide. Come mi commuove il fatto che Dio sceglie sempre le persone peggiori e più sballate perchè non ci si possa ingannare sul vero artefice della storia della salvezza. Una storia piena di contraddizioni e di ricadute e quindi ancora più affascinante ed imprevedibile, come affascinante, imprevedibile e misterioso è Dio. Un Dio potente e debole, un Dio che potrebbe ridurci in briciole e che si lascia inchiodare, perchè non ci venga la tentazione di usarlo ma solo di accettarlo com’è e di voler diventare come lui, accettando che la strada della vita passi per la morte e che la vittoria conosca prima l’amarezza e la notte della sconfitta.

Trovo poi inspiegabile che un uomo tremendamente lucido come Lei, che mi scarta i Vangeli, a conclusione di questa sua immane e dolorosa fatica di ricerca della verità, opti per le apparizioni di Lourdes, Fatima e addirittura Medjugorie, sulla cui banalità più che sulla autenticità mi risparmio ogni commento e facile ironia.

Sul capitolo relativo alla prigionia non mi permetto alcuna chiosa. Si tratta di un’esperienza troppo personale e sofferta. Così come non ribatto sulle Sue affermazioni relative al comunismo ed alla dottrina marxista-leninista ed alle Sue posizioni dichiaratamente destrorse. Personalmente appartengo ad un’altra parrocchia e non mi lascio incantare da nessun miraggio di grandezza nazionale o di ordine, soprattutto quando questa grandezza passa sull’umiliazione delle persone e l’ordine è soltanto un disordine camuffato. Sono un sentimentale, un romantico, un ingenuo e mi batto sempre per le galline, mai per le aquile, siano esse bicipiti o tricipiti. Ritengo che comunismo e nazismo e fascismo appartengano alla stessa pianta malefica e che siano ugualmente diabolici. Per cui non capisco come il papa abbia potuto stringere la zampa di Mussolini e di Hitler e scomunicare i fanatici del Baffuto. Questo sì che è un mistero!

Non Le nascondo che la parte più gustosa, più provocante, più evangelicamente scandalosa sia quella relativa alla corrispondenza con la curia e segnatamente con il vescovo Cocolin. Sono pagine drammatiche, incoscienti, splendide, coraggiose ed oltraggiose, che si divorano con avidità. Anch’io mi sono trovato in conflitto con i miei gerarchi e qualche volta ho calcato la penna, pentendomi un istante dopo. Non per quello che avevo detto, che ritenevo vero, ma per le conseguenze cui andavo incontro e che mi trovavano impreparato. Perchè io sono fondamentalmente un timido e, se il vescovo lo avesse intuito, mi avrebbe stritolato senza alcuna fatica. Lei invece è forte come una roccia e sembra che le avversità, lungi dal fiaccarLo, Le facciano profitto. La Sua invidiabile lucidità intellettuale e prestanza fisica, ad un’età ben oltre i confini biblici, ne è una conferma evidente.

Detto questo e reso omaggio al Suo ardimento, per me e per la maggior parte dei mortali irraggiungibile, mi permetto di sussurrare che, sotto sotto, un po’ della mia simpatia va anche all’incolto ed ingordo Cocolin, che non ha mai brillato per la sua intelligenza e che ha speso i suoi onesti risparmi pe comprare bottiglie d’annata, scartando decisamente la produzione letteraria a favore di quella vinicola. Dico questo non solo perchè il buon don Rino è stato a trovarmi, con il suo segretario Baldas, nel mio eremo ed esilio carnico, ma perchè, con il suo “cuore ottimo, stomaco di struzzo e palato finissimo”, ha regalato qualche ora di allegria ai suoi commensali che non avevano grandi ambizioni intelellettuali. C’è gente che non ti aiuta molto, ma che ti fa star bene in compagnia. C’è gente che ti aiuta e ti stimola, ma la cui frequentazione è faticosa perchè troppo perfetta e conscia della propria ragionevolezza e rettitudine.

Credo che ci salvi la nostra umanità, non la nostra virtù. Di più, credo che nessuno si salvi ma che tutti siamo salvati da Colui che è l’unico giusto. Che cos’è la nostra giustizia e la nostra ragione? Nessuno è tanto santo da meritare il premio e nessuno è tanto perverso da essere escluso dalla sua misericordia. Lui, che ha saputo rintracciare un coniglio come Giona nel ventre del pesce (altra balla!), saprà trovare anche Cocolin e gli altri suoi rappresentanti infingardi, machiavellici, pusillanimi, fedifraghi, bricconcelli eccetera. In questo mi sento totalmente aquilejese ed alessandrino, abbracciando con Origene la splendida verità o prospettiva della salvezza universale.

Don Corrado, sono giunto alla fine (ma potrei continuare) di questa mia chiacchierata piuttosto confusa e disordinata. Ho precisato che si tratta di impressioni, più che di ragionamenti. Ho l’impressione di una personalità fuori del comune e quindi condannata fin dal principio ad essere elemento di divisione ed oggetto di incomprensione. Lei stesso lo afferna in un passaggio del Suo libro. Credo nella Sua rettitudine e Le dò ragione in tutte le Sue ragioni ed obiezioni. Solo vorrei vederLa più in là o in alto. Meno virtuoso e più umano, comprensivo, conciliante. Non si arriva a 90 anni e con tante peripezie senza capire che tutto è mistero, tutto è relativo, tutto è grazia. La Sua dirittura morale e la coscienza chiara delle Sue qualità intellettuali e della Sua spiccata personalità probabilmente L’hanno trattenuta da quelle debolezze che normalmente infangano e rovinano le nostre prosaiche esistenze. Ma che me ne faccio di una virtù accigliata, di una verginità glaciale, di una santità museale o funeraria? Preferisco mille volte un peccatore simpatico ad un santo antipatico, se mai esiste santità senza gioia e serenità interiore.

La ringrazio per quello che ha scritto, anche se non condivido gran parte del contenuto e soprattutto del metodo. Ha avuto del coraggio, qualità sempre più peregrina. Le auguro un po’ di calore e, per tutti noi, il dono della fede. Non di arrivare a combinare i pezzi sconnessi che Dio ha seminato sulla sua e nostra strada, ma di accettare questa incongruenza ed illogicità. Non di risolvere l’enigma ma di fidarsi lo stesso, di allungare la mano anche a rischio che non ci sia nessuno che la stringa, di intraprendere una strada che forse non porta da nessuna parte. Ma ci permette di muoverci, di andare avanti, di scaldarci, di avvicinarci a Lui e tra di noi.

Di queste mie osservazioni, o farneticazioni, ingenue, imprudenti o forse offensive anche contro la mia volontà, faccia l’uso che ritiene più opportuno. Se Le servono le legga; se sono sbagliate le compatisca; se Le creano fastidio o sofferenza le distrugga. Il fatto che abbia vergato, sia pure in modo scombinato, cinque pagine, vuol dire che la Sua opera e persona non mi è indifferente.

Termino queste righe in questo Mercoledì delle Ceneri. Fra poco andrò in chiesa a ripetere ancora una volta l’invito accorato di Gioele a ritornare a Dio con tutto il cuore. Perchè tutti siamo fuori strada e tutti dobbiamo ritornare o rientrare. Ed i sacerdoti, i ministri di Dio, ancora una volta pregano per la loro comunità e per tutti gli uomini: “Parce, Domine, parce populo tuo”. E’ questo il nostro unico compito: gridare e piangere e chiedere perdono per la nostra povera gente e per la nostra povera Chiesa e per la nostra povera umanità. Voglio sperare che questo sole ormai rafforzato vinca le ultime resistenze dell’inverno e ci regali un po’ di calore ed un anticipo di gioia pasquale. Mandi.

5 marzo 2003

pre Antoni Beline